Caos Urbano

Scheda opera

Caos Urbano · codice opera BU96

Dati tecnici

anno2023
data di acquistoacquisito in portafoglio
valore corrente stimato in €consultare la Tabella dei Prezzi aggiornata
identificazione del soggettodipinto astratto/opera ricostruttivista
materiali e tecnicheolio su tela/tecnica mista/opera materica
misure in centimetri cm100 x 80 x 5
iscrizionifirma autografa
tecnica di iscrizioneolio
posizione dell’iscrizionesul retro/in basso/a destra
trascrizioneValvo
certificato di autenticitàemesso contestualmente alla vendita
multipli d’artenessuna stampa emessa
stato di conservazioneopera intatta
localizzazione dell’operaRoma · Italia
diritto d’autore© tutti i diritti riservati · globale · S.I.A.E.

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Raisuli Oimar Tancredi Valvo · Caos Urbano · 2023 · Picture 0 · © All rights reserved S.I.A.E.
Caos Urbano · codice opera BU96

Descrizione opera

Caos Urbano

Per capire quest’opera … ci si deve sporcare.
Nel vero senso della parola.
Questo è un lavoro letteralmente lordato dal grasso motore degli scambi ferroviari e delle parti meccaniche dei treni a vapore del XIX secolo. Dall’odore della paraffina. Dall’odore del carbone. È un lavoro sporco di fuliggine, di fumo, della nebbia densa e scura, che si forma sulle aree urbane e industriali in presenza di elevata umidità e di forti concentrazioni di particelle inquinanti, immesse in atmosfera da impianti di riscaldamento, traffico veicolare ed attività industriali. Questa è una tela imbrattata di vita umana. La composizione “parla” attraverso i suoni delle rotaie, delle strade affollate, dello sbuffare dei treni, del brusio delle persone, delle grida, delle risate, dei pianti e dei silenzi, propri dei maggiori centri urbani di inizi del ‘900, dei loro vicoli, delle strade, delle piazze, dei sobborghi di periferia.
La folla.
La folla è il nodo centrale. È il caos, appunto, specifico di ogni urbe ad alta concentrazione demografica.
La frenesia collettiva. La fretta. La rapidità delle azioni. La velocità dei movimenti e delle comunicazioni.
Il quadro riporta la mente alla produzione cinematografica statunitense degli anni ’40-’50, alle affollate strade newyorkesi degli anni ’30, ai vapori sotterranei che fuoriescono dai tombini, come pure ai camminamenti a Tokyo, nel centro città.
Un’opera Noir, si direbbe. O ancora, un’opera Fumé, dal sapore underground.
La composizione richiama anche, per alcuni aspetti, certi inchiostri orientali, cinesi e giapponesi.
Vi è, inoltre, una notevole correlazione con alcune opere di Henri Michaux, artista belga del ‘900, poi naturalizzato francese.
Se è plausibile parlare, riguardo all’autore, di tipica concentrazione di elementi di natura difforme, quale componente stilistica generalmente identificativa della paternità delle opere, in questo caso ciò è vero più che mai. Qui, si è al limite della saturazione. Migliaia di fattori attivi e reciprocamente interagenti. Una pletora di nervose particelle grafiche strettamente interconnesse. Una moltitudine sterminata di piani in sovrapposizione. L’infinità dei tratteggi. La diffusione di fumate materiche. La carbonizzazione della tela. La brunitura delle aree. Il tutto in totale assenza di policromia. Qui è il nero che domina, insieme al candore della luce. Nient’altro. Il bianco ed il nero veicolano, da soli, la totalità semantica della pittura, impedendo l’accesso al benché minimo cromatismo e sancendo, in modo ineluttabile, il carattere definitivo del componimento.
È quasi impossibile decodificare la totalità dei rapporti tra le particelle. La visione di insieme, l’impatto ottico, è ciò di cui dobbiamo servirci per assorbire il senso profondo di ciò che abbiamo di fronte agli occhi. In senso stretto, pertanto, l’opera non va “letta” ma va percepita nel suo complesso. Nella sua logica incrementale. Nella sua iperdinamicità.

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